nerco-b

In ricordo di Don Giovanni Nervo

Il 21 marzo 2022 è l’ottavo anniversario della morte di Don Giovanni Nervo, Frisanco lo ricorda in questo articolo.

Don Nervo è una tra le figure magistrali nella diffusione del verbo e della pratica della solidarietà costituzionalmente intesa ed evangelicamente testimoniata. Figura gemellare a quella di Luciano Tavazza con cui condivideva carisma, profezia e spinta all’innovazione, motivo costante di un pensiero che andava tradotto in azione. Entrambi prefiguravano il cambiamento di coscienze, istituzioni e condizioni umane, a cominciare da quelle degli “ultimi della fila”.

Nervo ha contribuito sul versante ecclesiale, ma con un registro indiscutibilmente laicale, a incidere sulla cultura di un nuovo volontariato, quanto Luciano Tavazza ha contribuito sul versante laicale ad elevare di senso la solidarietà organizzata, intesa come “religione civile”.

Entrambi possedevano uno stile comunicativo chiaro e coinvolgente che procede per domande, con l’interrogativo che va al cuore del problema, che fa appello al metodo maieutico nel dialogo con l’interlocutore. Stimolare le coscienze, la capacità critica delle persone, dentro una visione etica della vita, era per loro l’essenza del messaggio del volontariato la cui prima funzione è educativa, la formazione di cittadini attivi, solidali e responsabili perché “adulti”.

Anche Giovanni Nervo nel suo lungo percorso di vita ha lasciato tracce indelebili della sua presenza con una lucida e tenace capacità costruttiva. Dapprima fu fondatore, a Padova, di una antesignana scuola di servizio sociale (1951-1970), affermando così il profilo dell’assistente sociale, successivamente inserita tra le professioni di Welfare; poi della Fondazione Zancan (1964), un centro studi, ricerche e formazione che ha contribuito a formare i quadri di moltissimi enti e servizi pubblici e di Terzo settore e a preparare non poche proposte legislative o a orientarle su numerosissimi temi del sociale. Altra missione da apripista è stata quella di organizzatore della Caritas Italiana (1971-1986) e, soprattutto, della riproduzione del suo modello a livello locale, le Caritas diocesane investite di una prevalente funzione pedagogica. Non fu certo facile superare il tradizionale approccio assistenzialistico tipico delle pregresse Opere Diocesane di Assistenza con il concetto e la pratica della promozione umana, con il passaggio al “farsi carico” e con l’assunto conciliare che non c’è carità senza giustizia. Alla Caritas nazionale portò a termine con maestria e coraggio operazioni importanti in Africa e in Asia, dove sono stati salvati migliaia di profughi, mentre nel Friuli terremotato ideò i gemellaggi di comunità nel segno della loro responsabilizzazione. E’ certo che le tre istituzioni di cui è stato protagonista hanno concorso all’affermarsi della storia delle politiche sociali più moderne nel Paese.

E’ stato anche propulsore del servizio civile dei giovani e delle giovani come leva formativa importante nel percorso di cittadinanza responsabile.

Molte sono state le parole che Nervo ha speso per sostenere il Volontariato organizzato che a metà degli anni Settanta del secolo scorso era la “gemma terminale” (termine che amava utilizzare per indicare il “nuovo” da cogliere) di una rinnovata stagione della solidarietà. Insieme a Tavazza convocò le realtà attive in un convegno del 1975, anno spartiacque tra un volontariato ripiegato sulla sua azione assistenzialistica o consolatoria e quello consapevole di avere un ruolo politico, capace di entrare nel merito delle cause dei problemi e di affrontarli interloquendo con le istituzioni, senza subordinazione o strumentalizzazione di sorta, ma nell’esercizio della sussidiarietà. Non sono mancate anche le sue provocazioni come esplicita il titolo di una sua pubblicazione (“Ha un futuro il volontariato?”, 2008) sempre acute e riflessive, talvolta amabilmente ironiche.

Il volontariato doveva essere libero, organizzato, preparato, unito, propenso alle alleanze, capace di rappresentare i bisogni delle categorie emarginate, lontano da tentazioni gestionali e dalla rincorsa a bandi e appalti che permeano la logica imprenditoriale, presente anche nella legge di Riforma del Terzo Settore.

Nervo era attento a rilevare i limiti del volontariato, non sovrapponibile agli attori pubblici che garantiscono i diritti dei cittadini né agli enti erogatori di servizi, e a richiamarne la identità specifica e i valori intangibili che lo distinguono dalle altre organizzazioni di Terzo settore, come la gratuità e il “fine esclusivo della solidarietà” ridimensionato con la Riforma del Terzo settore. Infine riteneva che il ruolo del volontariato fosse basato su quattro cardini: anticipazione e sperimentazione di nuove risposte ai bisogni emergenti; integrazione dei servizi esistenti con il “supplemento d’anima” che è grado di assicurare; stimolo nei confronti delle istituzioni con un’azione di denuncia e di advocacy, perché funzionino bene e garantiscano la tutela della dignità e dei diritti dei più deboli. Infine, la già menzionata azione educativa nei confronti della cittadinanza, a partire dall’esempio dei volontari che “portano nel normale lavoro pagato e in tutti gli ambiti della loro vita i valori del servizio, della disponibilità, del disinteresse, dell’amore del prossimo e del bene comune”. Il volontariato diventa così scuola di solidarietà, modello di cittadinanza, sfuma nella “gratuità del doveroso” per citare Nicolò Lipari.

Come per Tavazza il suo pensiero rimane sempre vivo nella memoria di chi lo ha conosciuto e magari lo ha apprezzato come “maestro e produttore di cultura sociale e politica”, come scrisse Giuseppe Pasini, altra figura eminente che ha condiviso con lui buona parte del percorso in Caritas nazionale e alla Fondazione Zancan, così come il giorno della morte nel 2015. Chi, come i più giovani, vogliono accostarsi al suo pensiero possono attingere alle numerose pubblicazioni che ci ha lasciato[1]. Si tratta di un lascito importante che può illuminare ancora oggi la direzione e il senso di marcia di un volontariato sempre in cammino.

[1] Una selezione è presente in, La Pasqua di don Giovanni, Studi Zancan, Politiche e Servizi alle persone, gennaio/febbraio n. 1 – 2013.

Add a Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *